Abbiamo trovato un campo tendato più bello dell’altro (e per “bello” intendo spartano, naturale, autentico).
Famiglie così accoglienti che non so quante centinaia di volte ho detto “Choukran”.
Un passetto alla volta nel deserto del Sahara, ho sentito tutta l’energia e la serenità di altri tempi che mi attraversavano fortissime.
E poi c’è stato quel momento di condivisione nell’oasi di Tafilalt…Ma il viaggio è partito ben prima dell’oasi.
Infatti, siamo atterrati tutti a Fes, partendo un po’ da Bergamo, Roma o Torino. E ci stavamo già divertendo da morire…
Un attimo prima di partire con la macchina dall’aeroporto di Fes, ci è sfuggita Anna!
Pensavamo tutti che ci stesse aspettando dato che il suo volo era arrivato un’oretta prima.
Ma una volta fuori, abbiamo visto il cartello AlidTours con la nostra guida.
Non aveva nessuno vicino che potesse somigliare, neanche lontanamente, ad Anna.
In realtà c’era un tizio che mi pareva Roberto. Somiglianze a parte, ci siamo guardati tutti un po’ spaventati.
Poi, forse con lo spirito di leggerezza che ci contraddistingue, abbiamo fatto mille battute su dove poteva essersi cacciata…
Alla fine, passata una buona mezz’ora, la vediamo che sbuca da un angolo con dei dolcetti al pistacchio e miele e ci invita a prendere un the!Si era messa d’accordo con la guida per non far dire nulla…
In fondo è stato un “buonissimo” scherzo.
Andando verso il deserto in macchina, stiamo già tutti immaginando quali sentieri, attività e persone avremmo incontrato.
Roberto si preoccupa un po' troppo dicendo cose come: “Secondo me non ci sono proprio i sentieri. Come ci orientiamo?”
“Ma c’è Alì!” dico io, con urla di entusiasmo che spaventano anche Alì stesso.
Dopo una giornata piacevole — incantati a guardare dal finestrino quei paesaggi che a breve avremmo vissuto in modo più intimo — arriviamo al Dar Haroun.
Anna dice subito: “Cos’è questo castello di sabbia? Che bello!
Io leggo il messaggio di Lidia di qualche giorno fa.“Il Dar Haroun sarà il vostro rifugio di partenza.
Qui trovate tutto quello di cui avete bisogno per il vostro cammino, a partire da una prima cena buonissima che vi prepareranno le nostre due cuoche berbere: Nazha e Bechra.
“E come se mi stesse leggendo nel pensiero, Giorgio dice “Cavolo che fame…”
Eccoci a cena, immersi in una montagna di cuscus, salsine e sughetti deliziosi – tutto rigorosamente preparato a mano.
Dopo questa cena deliziosa, ci catapultiamo in terrazza per goderci la Via Lattea come non l’avevo mai vista. Questo è stato uno dei miei momenti preferiti, ancora prima di partire con il vero e proprio trekking!
Ma parlando dell’oasi di Tafilalt…C’è un sole che spacca le pietre. Qualche dromedario. Zero vento. Le 5 ore di cammino cominciavano ad allungarsi parecchio, seppur la fatica fosse sostenibile.
È un miraggio o quello è finalmente lo ksar Lojarcha? Con Alì, la nostra mitica guida, eravamo solo al secondo giorno di trekking.
Camminiamo per chilometri e chilometri, con un paesaggio che cambia lentamente sotto i nostri piedi, in un modo quasi impercettibile.
Ogni tanto vediamo delle tende, fatte con pelle di cammello, con dentro delle persone e spesso dei bambini che ci guardano.
Qualcuno accenna un sorriso. Alì saluta: “Azul”.
Seguiamo tutti: “Azur”, “Azun”, “AZUZ”. Ora ridono visibilmente…
Una donna ci viene incontro. Ha la pelle disegnata dalle fatiche di una vita nel deserto sotto il sole cocente. Ci fa segno di avvicinarci.
Cambiamo rotta, con curiosità.
In questo momento, seppur lontani almeno 5 chilometri dall’oasi, mi sono sentita dentro un mondo sconosciuto, che però mi apriva le sue porte con una gentilezza sconfinata.
Come se fosse scontato, ci chiede (a gesti) quante zollette di zucchero vogliamo.
Poi non si capisce bene come ma già un the da versare pronto per tutti.
L’idea a questo punto era di fermarsi per una mezz’oretta. Bisognava ancora macinare alcuni chilometri. Ne eravamo tutti coscienti.
Eppure, in quell’esperienza, al riparo dal caldo che ci stava un po’ distruggendo, siamo rimasti almeno due ore. Vuoi la stanchezza, i sorrisi, i bambini, le chiacchiere fra di noi…
In un mondo in cui tutti mi dicevano che il tempo sembrava essersi fermato, io ho provato l’opposto.
Penso a quando ho tirato fuori il discorso con gli altri.Chi più e chi meno, avevamo tutti questa sensazione.
Un qualcosa di magico che non voglio stare troppo a spiegare, perché a parole o con le foto diventa davvero difficile.Infatti, in questo viaggio ho capito una cosa molto importante…
Ho capito che a volte un sorso di the, uno sguardo alle stelle o l’ombra di una tenda berbera in mezzo al nulla possono darti più delle decine di chilometri di qualsiasi trekking.
E detto da me, vi assicuro che non è assolutamente scontato.
Ma la sensazione più bella di tutte?
Sentirsi a casa.
Dopo una giornata di avventura camminando fra ksour e paesaggi vari nel deserto, essere accolti con una cena deliziosa, preparata con amore e cura da due donne fortissime come Nazha e Bechra.
Provare quel piacere di scambiare due chiacchere, divertirsi, ballare una musica nuova o anche stare in silenzio senza imbarazzo.
Quei momenti in cui, anche per pochissimo, ti sembra di essere davvero una famiglia.
Non solo noi come gruppo, ma anche Alì e tutti gli altri amici berberi.
Nei momenti più semplici ma anche profondi, la casa di questa famiglia è stata proprio il Dar Haroun.